La descrizione più comune di erba infestante è qualcosa che suona pressappoco così: “Pianta di nessun valore agricolo che si diffonde nei coltivati danneggiando le piante utili, alle quali sottrae sali nutrizionali, acqua, spazio, luce, e in certi casi, può prendere il sopravvento soffocandole”. Si tratta, a mio avviso di una definizione un po’ limitante, perché in realtà ogni pianta ha un valore agricolo anche solamente per la capacità di produrre biomassa che alla morte sarà convertita in sostanza organica in trasformazione. È bene ricordare anche che le erbe infestanti spesso sono le prime piante a colonizzare un terreno dopo un evento atmosferico avverso come un incendio o un’alluvione, e quindi sono le prime a far ripartire quel ciclo infinito, che va dalle piante più semplici e rustiche alle più complesse ed esigenti, che ha reso possibile nel corso dei millenni l’insediamento sul nostro Pianeta di specie sempre più evolute.
Per chi si avvicina per la prima volta alla coltivazione con tecniche biologiche è bene chiarire subito che la gestione delle infestanti rappresenta la sfida più difficile. Non si potrà mai parlare di completa eradicazione, perché con le armi del biologico, la lotta contro le infestanti è una battaglia che non potremo mai vincere. Quello che però possiamo fare, e prima lo impariamo e meglio sarà, è studiarle, riconoscerle, capirne i punti deboli e imparare a conviverci gestendole insieme alle colture da reddito.
Diserbanti
Nell’agricoltura convenzionale contro le infestanti si fa ricorso ad armi non convenzionali, quali i diserbanti specifici contro le monocotiledoni, le dicotiledoni e altri preparati analoghi, non specifici. Tra questi, il più conosciuto e venduto a livello mondiale, è il fami-9 gerato Glifosate, proposto con il nome commerciale di Roundup. Queste sostanze di sintesi una volta distribuite sulle infestanti ne provocano il disseccamento già a partire dopo un’ora dalla distribuzione. Credo che oggi possiamo affermare che questi prodotti, nonostante i grandi sforzi delle case produttrici che fanno di tutto per ripulirne l’immagine, sono dichiaratamente tossici per l’ambiente, per gli animali e per l’essere umano. Una nocività provata da un’infinità di studi indipendenti, documentari, ricerche e tesi.
Prodotti come il Glifosate funzionano così bene che l’utilizzo per cui erano stati creati, ovvero ripulire il terreno dalle infestanti prima di procedere con una nuova semina, ormai è stato quasi messo in secondo piano dal suo utilizzo come disseccante totale per omogeneizzare la raccolta. Ricordo ancora benissimo quanto in Ohio, osservando un campo confinante di diverse decine di ettari di grano quasi pronto alla raccolta vidi entrare nell’appezzamento un trattore molto strano con ruote finissime, alto da terra diversi metri, con un barra irroratrice lunga almeno 30 metri. Non riuscivo a capire cosa stesse distribuendo visto che ogni prodotto per la concimazione fogliare sarebbe stato totalmente inutile essendo quella coltura prossima alla raccolta. Soltanto alcuni anni dopo ho realizzato, dopo aver visto un servizio di Report, che stavano distribuendo un disseccante totale per omogeneizzare la raccolta. Questo utilizzo ormai è diventato così comune che la presenza di residui di diserbante è riscontrabile in una percentuale molto rilevante di prodotti che acquistiamo nella grande distribuzione (soprattutto nei prodotti a base di grano, riso, mais e soia).
I diserbanti, insieme ai concimi di sintesi e al miglioramento genetico, hanno rappresentato alla base della cosiddetta “Rivoluzione verde” del XX secolo. In quegli anni, molti agricoltori hanno visto raddoppiare e in alcuni casi triplicare i raccolti dei propri campi e la tentazione dei guadagni facili ha spinto l’agricoltura verso un uso massiccio di questi prodotti.
Quello che si è compreso solo successivamente e con non poca amarezza è che:
- la figura del contadino (nonostante la trasformazione in imprenditore agricolo) non è salita di livello nella scala sociale e nel benessere economico;
- gli unici a guadagnarci realmente con la Rivoluzione verde sono i produttori di mezzi tecnici, in particolare le multinazionali del settore;
- gran parte dei terreni, le falde, i corsi d’acqua e l’ambiente in generale sono stati contaminato e quindi modificati seppure in percentuali assai variabili, dalla presenza di queste sostante.
L’unica speranza è che la politica agraria della comunità europea scelga in modo più convinto i modelli produttivi agroecologici, varando adeguate forme di sostegno e limitando decisamente l’uso degli agrofarmaci di sintesi. L’attenzione sui diserbati è importante perché sono alcuni dei prodotti di cui gli agricoltori, una volta provati, non riescono a fare a meno. Quando si tratta di convertire un’azienda dalla gestione convenzionale a quella biologica la partita vera si gioca proprio sull’eliminazione di questi mezzi. Soltanto diventando consapevoli del pesante impatto ambientale, dei diffusi rischi per la salute dei consumatori e degli operatori agricoli causati dall’utilizzo dei diserbanti, si può decidere di adottare metodi alternativi per il controllo delle infestanti. Si tratta di pratiche, spesso più impegnative rispetto all’impiego di prodotti di sintesi, ma che sicuramente ripagano l’agricoltore in termini di salute e rispetto per l’agrosistema.
Piante Bioindicatrici
Esistono tante tecniche per tenere sotto controllo le infestanti, ma prima di tutto è opportuno imparare a riconoscere le principali malerbe, perché molte di esse sono bioindicatrici e quindi possono fornici preziose indicazioni sulle caratteristiche e lo stato di salute dei nostri terreni. Un libro che consiglio vivamente, soprattutto a chi già fa o ha intenzione di fare l’agronomo o il tecnico agricolo, è L’encyclopédie des plantes bio-indicatrices alimentaires et médicinales: guide de diagnosticdes sols (Editions Promonature).
In questo testo, purtroppo non ancora tradotto in italiano, sono trattate tutte le infestanti presenti in Europa, e oltre a essere molto utile per la loro identificazione, riporta di ognuna la funzione biondicatrice. Dunque ci sono piante la cui presenza è indice di un terreno con un eccesso di azoto o di ferro, infestanti che si sviluppano solo in presenza di un elevato contenuto di sostanza organica o eccesso di umidità e malerbe tipiche di terreni calcarei o alcalini e così via.
Nella tab. 23 sono elencate le principali infestanti presenti nel nostro ambiente e le relative caratteristiche del suolo di cui sono indicatrici.
Da problema a risorsa
La gestione delle infestanti rappresenta per un agricoltore una voce rilevante in fatto di numero di ore lavorative. Almeno il 20- 30% del totale del monte ore di un anno. Chi ha avuto la fortuna di zappare una fila di porri, oppure di usare il pirodiserbo o una sarchiatrice, conosce la soddisfazione che si prova quando arrivati alla fine della fila e girandoci indietro vediamo che le nostre piantine sono completamente pulite e libere di crescere senza competizione. Gestendo un’azienda e facendo mercati rionali settimanalmente, posso affermare che esiste qualcosa che dà ancora più soddisfazioni di un campo privo di infestanti ed è quella di trasformare un grande problema in una grande risorsa.
Gran parte delle infestanti per lo più sconosciute ai consumatori (e soprattutto ai produttori!), sono commestibili e presentano caratteristiche nutrizionali spesso molto interessanti. Il passaggio che possiamo e dobbiamo fare è quello di trasformare un problema in una risorsa raccogliendole e vendendole. Ovviamente, per vendere e fare apprezzare queste cosiddette “malerbe” bisogna essere bravi a saperle presentare, evidenziandone il sapore, il loro impiego alimentare e le caratteristiche (acidula, ricca di omega 3, simile allo spinacio…). All’inizio sarà dura perché ci sarà diffidenza verso verso i “nuovi ” prodotti, poco noti o del tutto sconosciuti ai consumatori, ma alla lunga sarà possibile vincere anche questa sfida.
A questo riguardo può essere molto utile un esempio, molto personale. Nella mia azienda la coltivazione di patate è infestata dal farinello (Chenopodium album), pianta che in terreni fertili può raggiungere anche i due metri di altezza, ombreggiando le piante di patata e limitandone lo sviluppo. Invece di incaponirci su come eliminarla, la strategia che abbiamo adottato nella nostra azienda è stata quella di “portare al mercato” questa infestante. Da fine marzo- inizio aprile, da un appezzamento di 5000 m2 di patate, noi raccogliamo 20-30 kg a settimana di questa infestante e la vendiamo al mercato a 4 €/kg. Non raccogliamo l’intera pianta, che risulterebbe dura e fibrosa, ma soltanto i giovani steli e le ramificazioni con le foglie giovani molto tenere, il cui sapore ricorda lo spinacio. In pratica non eliminiamo l’infestante tagliando alla radice, ma la gestiamo valorizzandola il più possibile. A metà maggio, in mezzo alle pataterimangono soltanto steli di farinello alti 1,5 m, ma senza foglie e senza ramificazioni, la cui presenza non rappresenta più un ostacolo per il pieno sviluppo della piantagione.
Qui sotto un breve elenco delle infestanti commestibili della nostra zona (fascia Centro-Italia), gran parte delle quali sono anche biondicatrici, perché con il mutare della tessitura del terreno, del livello di sostanza organica e di pH si riduce o cambia la loro presenza.
Borragine (Borago officinalis)
Si raccolgono le foglie tra dicembre e febbraio prima della fioritura. Viene utilizzata per arricchire minestroni, zuppe o come ingrediente principale di frittate, pizze, frittelle e ravioli. I fiori si usano per guarnire risotti e insalate.
Cicerbita selvatica (Sonchus oleraceus).
Si raccoglie la rosetta con diametro di 20 cm, si usa la parte epigea della pianta. Ricca di sali minerali, vitamine e fibre, ottime capacità diuretiche e rinfrescanti, depura l’organismo e protegge il fegato. Si usa cruda, tagliata fine in insalata, bollita o saltata in padella.
Farinello o spinacio selvatico (Chenopodium album)
Si consumano i giovani germogli e le foglie crudi, cotti, lessati, al vapore o in padella esattamente come gli spinaci. Presenta un elevato valore nutrizionale (simile a quello degli spinaci): ricco di ferro, fosforo, potassio e vitamina B1.
Orecchie di lepre (Silene alba)
Si raccolgono le giovani foglie per preparare ottime zuppe, ma si consuma anche bollita o saltata in padella. Ricca di vitamine, carboidrati e sali minerali, presenta un buon contenuto di acidi grassi, vitamina C e composti antiossidanti
Ortica (Urtica dioica)
Si consumano i germogli, le foglie e la parte apicale (20 cm) delle piante adulte. Presenta proprietà diuretiche, depurative, antireumatiche, antiemorragiche e antibatteriche. Si usa principalmente nelle frittate, nei risotti e come condimento per la pasta.
Portulaca (Portulaca oleracea)
Si raccoglie l’intero cespo quando ha raggiunto il diametro di 20 cm. Presenta ottime proprietà nutrizionali e terapeutiche, ricca di vitamine A, B, C, E e di sali minerali, in particolare magnesio, potassio ferro e calcio. Bassissimo contenuto di calorie, è considerata un’eccellente diuretica, depurativa e antidiabetica. Ricca inoltre di omega 3.
Ramolaccio o rapa selvatica (Raphanus raphanistrum)
Si raccoglie tutto l’anno, tranne nei mesi caldi in cui produce il seme e diventa dura e fibrosa. Ricca di sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo, vitamine B, A, C, E. Presenta elevate proprietà disintossicanti. Si raccolgono le giovani foglie o i giovani getti floreali. Si consuma bollito, saltato in padella o come pesto al posto del basilico.
Rosolaccio o papavero comune (Papaver rhoeas L.)
Si consuma il cespo di foglie quando la pianta è ancora poco sviluppata con un diametro di 20 cm. Si consuma lessato o saltato in padella. Si usa comunemente in risotti, paste, zuppe, insalate e frittate.
Strigoli (Selene vulgaris)
Si utilizzano i germogli e le foglie, il sapore è delicato e leggermente amarognolo. Si consuma cruda nelle insalate, scottata in padella, bollita per preparare frittate, torte salate, minestre e risotti.
Trinciatella (Leontodon radiatus)
Si raccolgono le giovani foglie basali e si usano per lo più lessate insieme ad altre erbe. Tipico ingrediente delle torte salate (torta pasqualina) e altri piatti tipici regionali. Si usa anche cruda o saltata in padella.
Tecniche per la gestione delle infestanti
Sono molteplici le tecniche e i metodi di intervento in grado di evitare la piena competizione tra piante coltivate e infestanti. Le strategie da utilizzare ovviamente variano mano a mano che ci spostiamo nella penisola e da quello che ho visto non si finisce mai di imparare. Nella maggior parte casi, per ottenere un buon risultato è necessario applicare più tecniche contemporaneamente tra quelle elencate di seguito.
Trapianti
Questa tecnica prevede la messa a dimora nel terreno, appena lavorato, di piantine di ortaggi con una parte ipogea ed epigea ben sviluppata che quindi partiranno subito, sfuggendo alla competizione iniziale delle malerbe. Le classiche operazioni effettuate nel suolo prevedono un passaggio con il ripper a 30-40 cm a bassa velocità per non rischiare di alterare gli strati del suolo e una fresatura a 20 cm per sminuzzare il terreno ed eliminare le infestanti. L’operazione con il ripper serve a creare un ambiente ottimale allo sviluppo radicale delle giovani piantine appena trapiantate. Ormai la tecnica del trapianto è largamente utilizzata per il controllo delle infestanti, per evitare fallanze e per anticipare le produzioni. Uno dei motivi per cui si è diffusa è dovuta anche allo sviluppo tecnologico dei vivai che ha permesso di abbattere i costi di produzione e il conseguente prezzo finale delle piantine.
Falsa semina
La falsa semina è stata una tecnica molto utilizzata in passato e oggi è ancora in auge. Si usa principalmente per coltivazioni come il grano e altri cereali, ma è frequente anche il suo impiego in orticoltura. Consiste nel preparare il letto di semina in anticipo e aspettare la pioggia oppure, se questa tarda ad arrivare, si interviene con un’irrigazione superficiale ad hoc. L’umidità del suolo stimola la germinazione delle sementi presenti nei primi centimetri di terreno e quindi, dopo circa 7-10 giorni dalla bagnatura, gran parte dei semi germineranno e saranno presenti in superficie i cotiledoni più o meno sviluppati. La letteratura classica consiglia di intervenire in questa fase o poco dopo con una fresatura superficiale (massimo 10 cm), con un erpice a dischi o un 40 denti, se siamo in pieno campo. A mio avviso il limite di questa tecnica è proprio qui: smuovendo il terreno per eliminare i germogli anche soltanto per pochi centimetri non facciamo altro che riportare in superficie i semi presenti nello strato sottostante a quelli che avevano appena germinato rendendo meno efficace la falsa semina appena effettuata. Com’è noto, mediamente, un terreno è ricchissimo di semi di infestanti che possono rimanere latenti nel suolo, mantenendo buoni livelli di germinabilità anche per oltre vent’anni.
Pirodiserbo
Una tecnica molto efficace per controllare le infestanti, evitando nel contempo i rischi legati alla pratica della falsa semina è il pirodiserbo. Grazie allo shock termico provocato dal rapido passaggio della fiamma o di un’altra fonte di calore, si ha un rapido innalzamento della temperatura all’interno dei tessuti della pianta da eliminare, provocando la distruzione delle membrane cellulari e la coagulazione delle proteine. La fiamma entra in contatto per meno di un secondo nel caso di germogli o di 1-2 secondi nel caso di piantine più sviluppate, “lessando” le pareti cellulari e causandone la morte nel giro di 12-24 ore. Il principale vantaggio del pirodiserbo, rispetto alla falsa semina, è quello di evitare di smuovere il terreno. Una volta eseguita questa operazione sarà opportuno seminare o trapiantare immediatamente gli ortaggi, facendo attenzione a smuovere il meno possibile il terreno. Esistono macchinari molto complessi per eseguire il pirodiserbo, in grado di lavorare su tutta la superficie o fra le file delle piantine coltivate. Noi utilizziamo comunemente una versione “contadina” che consiste nell’inserire una bombola di GPL sulla pala del trattore o su una carriola a cui è collegato un tubo del gas con all’estremità una fiaccola, munita di una leva per deciderne l’intensità. Nell’orto di piccole-medie dimensioni la carriola permette di muoversi agevolmente fra le file, mentre per superfici più ampie diventa indispensabile utilizzare un trattore con una pala o un carrello.
Un esempio pratico di pirodiserbo sulle carote
Un contadino una volta mi ha insegnato una tecnica per coltivare carote, che considero uno degli ortaggi più difficile, e altri piccoli ortaggi come i ravanelli, utilizzando il pirodiserbo e una finestra di vetro. Esistono molte tecniche per coltivare le carote, noi ne usiamo una molto semplice. Tracciamo due solchi nel terreno con una zappa a 5 cm di profondità e larghi 10 cm, paralleli all’ala gocciolante, uno a desta e una sinistra di questa. Una volta preparato il solco, seminiamo le carote e ricopriamo con 3 cm di terriccio fine, irrighiamo bene con una nappa attaccata a una gomma. Quindi posizioniamo la finestra distesa sul suolo a metà della fila, in una zona rappresentativa rispetto all’illuminazione della linea. La finestra provoca un effetto serra, incrementando di pochi gradi la temperatura del suolo sottostante. Questo incremento di temperatura stimola la germinazione di tutti i semi presenti negli strati sottostanti, compresi ovviamente anche quelli delle carote. Ma, a differenza di gran parte delle infestanti, le carote sono lentissime a germinare e a emergere dal terreno. Sarà la comparsa delle malerbe nel terreno sotto la finestra ad indicarci che dopo 2-3 giorni gran parte delle infestanti sarà ben visibile sulla fila e andrà passato immediatamente il pirodiserbo. Bruciate le infestanti, dopo 2-3 giorni emergeranno le giovani piantine di carota che quindi non subiranno la competizione delle infestanti in questa delicata fase iniziale di crescita.
Grazie alle lame sagomate, il roller crimper spezza e incide gli steli delle piante, facilitandone la decomposizione.
Cover crop
La cover crop viene spesso associata a una coltura da sovescio, ma a differenza di questa, allo stadio della maturità non viene effettuato l’interramento, ma un passaggio con un trinciastocchi o un roller crimper. Le coltivazioni di copertura vengono eseguite tendenzialmente in un periodo in cui non sono presenti altre coltivazioni e permettono di intercettare le radiazioni solari trasformandole in biomasse, in grado di apportare sostanza organica al suolo invece di lasciare il terreno nudo. L’introduzione di questa coltura nel ciclo produttivo, permette di ottimizzare le potenzialità dell’ecosistema e contribuisce alla sostenibilità della gestione aziendale.
Le colture da cover crop vengono anche definite catch crops, cioè “colture da cattura”, a seconda se nell’intento dell’agricoltore prevalga l’idea di proteggere il terreno dall’erosione o evitare la perdita di nutrienti per lisciviazione. In realtà le due azioni non sono disgiungibili e per perseguire l’una si consegue, in qualche misura, anche l’altra. Nella pratica, questa tecnica applicata in orticoltura, consiste nel seminare miscugli di Graminacee, Leguminose e spesso Brassicacee dopo l’estate per poi interromperne il ciclo a metà aprile, con un passaggio di roller crimper. Una sorta di grande cilindro, dotato di lame sagomate e relativamente affilate che, man mano che procede, spezza e incide gli steli delle piante. A causa dell’interruzione della normale circolazione della linfa, sia di quella grezza che di quella elaborata, le piante non sono più in grado di rialzarsi e dissecano lentamente, creando una pacciamatura lunga sul suolo. Una volta eseguito questo passaggio, si procede al trapianto degli ortaggi con trapiantatrici rinforzate, in grado di operare nonostante la presenza di pacciamatura. L’utilizzo di questa tecnica, ancora poco utilizzata in Italia, presenta interessanti potenzialità ed è prevedibile che presto si diffonderà su larga scala.
Pacciamatura con teli biodegradabili
Negli ultimi vent’anni questa tecnica di gestione delle infestanti è stata largamente la più utilizzata sia per i costi che per i buoni risultati ottenuti. I bioteli sono realizzati con amido di mais, sono completamente biodegradabili e possono essere di colore bianco o nero. Alcune ditte li realizzano di vario spessore e la durata può variare da 3 mesi (indicati per le insalate) fino a 8-9 mesi (adatti per ortaggi come melanzane e peperoni a ciclo più lungo). Le larghezze sono variabili. Generalmente in orticoltura professionale si utilizzano i teli da 1 m a 1,2 m. Il colore bianco riflette il sole e riscalda meno il terreno, è quindi consigliabile per ortaggi come zucche e zucchini, in secondo ciclo che possono soffrire le eccessive temperature estive. Uno dei vantaggi del telo bianco è la capacità di riflettere la luce solare sotto le foglie. Una condizione che contribuisce a creare un ambiente non idoneo per gli afidi, i quali avranno grandi difficoltà a svilupparsi e riprodursi. Si tratta però di un vantaggio che presto si esaurisce, perché una volta che le foglie dello zucchino avranno coperto completamente il telo, la riflessione non sarà più possibile. Il telo nero ovviamente non riflette la luce solare, ma anzi provoca un innalzamento della temperatura del suolo e quindi il suo impiego risulta molto utile nel trapianto di ortaggi del primo ciclo (marzo-aprile), quando il terreno è ancora freddo. L’impiego di teli neri determina un incremento della temperatura, stimolando l’accrescimento delle radici e l’attività dei microrganismi, che quindi libereranno in anticipo le sostanze nutritive contenute nella sostanza organica.
Le melanzane sono tra le piante che necessitano di maggiore calore a livello radicale per svilupparsi e infatti, proprio su di esse, ho notato differenze di sviluppo significative confrontando i risultati ottenuti in assenza di pacciamatura, con impiego di telo bianco o con impiego di telo nero. Per aver un’idea del tutto simbolica, visto il continuo fluttuare dei prezzi, attualmente (marzo 2022), un rotolo di tessuto pacciamante di larghezza 1,2 m, 50 kg di peso e circa 2000 m di lunghezza, ha un costo di 7 €/kg + iva. Quindi il telo per pacciamare una fila da 100 m viene a costare circa 17,5 €. Sembra un costo molto elevato, ma se consideriamo la manodopera necessaria per ripulire manualmente dalle infestanti una fila di cipolle, porri o peperoni, con almeno 3 passaggi, alla fine la spesa per il telo pacciamante risulta molto più conveniente rispetto all’intervento di diserbo manuale.
Sotto questi teli le infestanti si sviluppano ugualmente, ma a causa della mancanza di luce non entreranno in competizione con le piantecoltivate. Un piccolo numero di infestanti si svilupperà in prossimità del foro effettuato per il trapianto o la semina ed emergerà alla base delle piante coltivate, creando problemi di competizione per spazio, luce, nutrienti e acqua, quindi è importante ridurre al minimo il diametro di tali aperture. Al di là dei vantaggi, i teli per pacciamatura non sono del tutto privi di aspetti negativi, anche se pochi ne parlano. Il problema principale è che la materia prima con cui vengono prodotti viene estratta dall’amido di mais e la loro produzione è in genere realizzata da aziende multinazionali in impianti situati in paesi poveri, sottraendo enormi quantità d’acqua e di terra alle popolazioni native, a discapito di produzioni alimentari che potrebbero alleviare la diffusa malnutrizione di tali aree.
Coltivazione sperimentale per verificare la diversa efficacia di teli pacciamanti di colore bianco e di colore nero su cipolla.
Coltivazione di cipolla su teli pacciamanti biodegradabili.
La giusta larghezza dei teli pacciamanti
Nella nostra azienda, i rubinetti che portano le ali gocciolanti autocompensanti sono collocati alla distanza di 1,2 m per tutta la lunghezza del dorsale. In genere, utilizziamo teli pacciamanti di 1,2 m di larghezza che quando vengo interrati perdono 20 cm per lato, quindi la parte veramente pacciamata su cui possiamo mette le piantine è di 80 cm di larghezza. Quando pacciamiamo più file, avremo dunque un’alternanza di 80 cm di telo pacciamante (con al centro l’ala gocciolante), 40 cm di terreno, 80 cm di telo pacciamante e così via. In qualche caso utilizziamo anche teli di larghezza di 1 metro, quando ad esempio coltiviamo insalate, cipolle o porri a file binate. In questo caso avremo 60 cm di telo pacciamante, 60 cm di terreno, 60 cm di telo pacciamante e via di seguito.
Un trattorino tagliaerba può risultare molto efficace nel controllo delle infestanti nell’interfila non pacciamata. Le due foto illustrano bene il risultato del passaggio del tagliaerba per il controllo delle infestanti tra i teli pacciamanti.
Un tagliaerba contro le infestanti
Nel terreno che resta scoperto, senza telo, le infestanti sono libere di crescere ed essendo in prossimità di un’ala gocciolante (anche se non direttamente) riescono facilmente a svilupparsi, prendendo spesso il sopravvento sulla coltura pacciamata limitrofa. Per controllare le malerbe abbiamo sperimentato varie soluzioni, ognuna delle quali però presentava seri inconvenienti. La soluzione apparentemente più ovvia, cioè l’impiego di un decespugliatore, presentava lo svantaggio di richiedere un’eccessiva cautela per evitare di tagliare il telo, rallentando enormemente i tempi di esecuzione.
Anche l’utilizzo di un motocoltivatore, dotato di un cassone di dimensione adeguata per non tagliare il telo, non è risultato idoneo, in quanto lasciava il terreno nudo, quindi esposto al sole e agli altri agenti atmosferici con tutti i problemi descritti nei capitoli precedenti. D’altra parte, il diserbo manuale, modalità d’intervento sicuramente più precisa, non è risultato conveniente perché troppo costoso a causa dei tempi lunghi necessari per praticarlo. Abbiamo dovuto escludere anche il ricorso al pirodiserbo, in quanto il calore danneggia il telo pacciamante. La risposta a questo annoso problema è stata risolta alcuni anni fa quando abbiamo acquistato un trattorino tagliaerba molto potente, ma con solo 60 cm di larghezza (il più stretto che esiste sul mercato). Grazie a questo mezzo è possibile passare con le ruote destre e sinistre sopra i teli pacciamanti contigui, e tenendo la lama pochi cm più alta del telo si ottiene un pratino costante fra le due file pacciamate. Generalmente, in primavera-estate passiamo dalle due alle tre volte con il tagliaerba a una velocità abbasta sostenuta, ottimizzando tutta l’operazione e abbattendo i costi di pulizia. L’erba tagliata non viene raccolta, ma viene lasciata come pacciamatura sulle infestanti appena tagliate ritardandone la ricrescita. Rilevante è anche il vantaggio di poter eseguire la raccolta potendo spostarsi su un pratino basso, anche dopo una pioggia, rispetto al terreno nudo (o appena fresato) che si otterrebbe con altre tecniche in cui si sprofonda e tutti i movimenti sono rallentati, senza contare i danni che si arrecano alla struttura del suolo quando si lavora sul bagnato.
Un’ulteriore evoluzione di questo metodo, ancora in fase di sperimentazione, è la semina di un miscuglio di trifogli bianchi (nani e nanissimi) nell’interfila, subito dopo l’installazione del telo pacciamante. Ho provato questa tecnica in un’azienda i cui terreni presentavano una carenza di sostanza organica. I primi risultati, ancora insufficienti per una valutazione conclusiva, sembrano molto interessanti perché, oltre a soffocare le altre infestanti, il trifoglio rilascia nel terreno biomassa e azoto. Nei casi di terreni difficili o con specifiche problematiche, come per esempio la presenza di marciumi radicali, consiglio di spostare il dorsale di 60 cm lungo la fila, in modo che l’ala gocciolante cada esattamente al centro della fila inerbita, meglio se con trifoglio o Brassicacee, per poi riportarlo nella posizione iniziale l’anno successivo. Questa tecnica evita di “stancare” il terreno e contribuisce alla difesa delle radici.
Coltivazione di zucche su telo pacciamante
Considerata la relativa facilità di coltivazione e la grande richiesta di mercato, in molte aziende, la coltivazione delle zucche da inverno occupa una parte rilevante della superficie aziendale. Noi, per esempio, ne coltiviamo circa mezzo ettaro su tre. Le piantine vengono messe a dimora i primi di maggio su telo pacciamante alla distanza di 0,60 m sulla fila e 2,40 m fra le file, stimolandole a svilupparsi nell’interfila, perché solo in quella zona trovano lo spazio e la luce di cui hanno bisogno. A metà-fine giugno, le infestanti che si sono sviluppate sull’interfila iniziano a soffocare le zucche, limitandone lo sviluppo. A questo punto passiamo tra i filari, spostando manualmente tutti gli steli delle zucche, per appoggiarli sulla fila pacciamata, lavoro questo che realizziamo procedendo in velocità.
Completata questa operazione, passiamo con il motocoltivatore nella marcia seconda o terza lavorando tutta l’interfila. Questa operazione può essere svolta anche con la fresa del trattore, ma in questo caso sarà opportuno evitare di affondarla perché l’obiettivo è eliminare le infestanti, non lavorare il terreno. Completata anche questa operazione, ripassiamo manualmente a rimettere gli steli di zucca nell’interfila, e già dalla mattina successiva le foglie saranno già tornate in posizione ottimale per svolgere la fotosintesi. Questa operazione, che ricordo interessa mezzo ettaro di superficie, richiede il lavoro di due persone per una mattinata. Completato questo passaggio, il grosso del lavoro è fatto, noi torneremo in campo solo molto più avanti, quando sarà il momento della raccolta. Nel frattempo le infestanti si saranno nuovamente sviluppate, ma senza creare problemi significative alle zucche, che potranno beneficiare di tutta la luce e i nutrienti di cui necessitano. Questo è possibile anche perché a differenza di altre piante, la zucca cresce abbastanza velocemente e le sue grandi foglie ombreggiano il terreno fresato, proteggendo il suolo dagli agenti atmosferici.
Situazione iniziale del campo di zucche.
Passaggio con motocoltivatore nell’interfila
Il campo di zucchine subito dopo la fresatura
Lo stesso campo dopo lo spostamento, eseguito manualmente, degli steli di zucca
Steli delle zucche rispostati nella posizione iniziale.
Teli pacciamanti preseminati
Negli ultimi anni, la ricerca e l’innovazione hanno lanciato sul mercato teli simili a quelli pacciamanti descritti precedentemente, ma realizzati con fibra di cellulosa totalmente biodegradabile. Questi teli possono essere di colore bianco, indicato per le colture estive, o neri adatti per le coltivazioni autunnali e primaverili. A seconda delle esigenze colturali, le ditte produttrici forniscono teli preseminati alla distanza richiesta; mentre la larghezza si aggira in genere tra 1 e 1,2 m. Gli ortaggi più indicati da coltivare con questa tecnica sono le colture da taglio: basilico, bietola, cicoria, indivia, lattuga, misticanza, prezzemolo, spinacio, rucola, valeriana, ma anche carota, porro, rapa, ravanello e tutte le erbe aromatiche. Uno dei vantaggi più evidente di questo materiale è l’elevato livello di pulizia delle piante al momento della raccolta, un aspetto molto ricercato per le insalate miste destinate alla vendita diretta.
Coltivazione di carote con teli pacciamanti preseminati
Per utilizzare correttamente i teli pacciamanti preseminati è consigliabile fresare il terreno, cercando di pareggiarlo il più possibile. Una volta completata questa operazione, si distribuisce uno strato fine ma omogeneo di compost ben maturo di lombrico. Successivamente, si srotola il telo manualmente e si posano sui lati dei pesi (noi usiamo i ferri di 2 m delle strutture dei pomodori) per far rimanere il tessuto ben aderente al suolo. La fase di germinazione è quella più critica, perché le radicine dei germogli devono subito toccare il terreno sottostante, altrimenti si disseccano. Per svolgere correttamente questa operazione bisogna tenere sempre umido il tessuto, in modo da appesantirlo e farlo posare uniformemente sul suolo. Nella mia azienda, per essere sicuri del risultato, bagnavamo anche 4 volte al giorno. Una volta avvenuta la germogliazione degli ortaggi in modo uniforme, si possono diminuire le bagnature. Noi abbiamo utilizzato questi teli pacciamanti preseminati per le carote, che sono fra le piante più lente a germinare, con risultati interessanti.
Telo pacciamante preseminato con carote.
Macchine e attrezzi per il controllo delle infestanti
Com’è stato già sottolineato nelle pagine precedenti, in agricoltura biologica, il controllo delle infestanti è realizzato essenzialmente con pratiche agronomiche che in molti casi fanno uso di macchine (abbiamo già visto i bruciatori utilizzati per il pirodiserbo) e attrezzi spesso ideati in modo specifico per la lotta meccanica. Si tratta di un settore in grande evoluzione che accanto al tradizionale motocoltivatore, vede l’affermarsi di nuovi attrezzi in grado di assicurare un efficace controllo delle malerbe.
Motocoltivatore
In linea teorica, utilizzare il motocoltivatore per il controllo delle infestanti rappresenta la soluzione peggiore poiché lascia il terreno nudo, fresato e quasi sempre in estate, con ovvie perdite di sostanza organica. Ma come sottolineato più volte nei capitoli precedenti, il modello di orticoltura biologica da reddito che io propongo prevede inevitabilmente dei compromessi e in certi casi i vantaggi assicurati dal motocoltivatore possono risultare superiori agli svantaggi.
Zappatrice manuale elettrica
Anche nel campo degli attrezzi e degli utensili, la ricerca ha compiuto importanti passi avanti, lanciando sul mercato diversi modelli di piccole zappatrici manuali elettriche. Sul mercato, si trovano numerosi modelli con varie larghezze della lama, in funzione del lavoro da svolgere. La batteria di alimentazione viene portata sulle spalle. Queste attrezzature sono costose, ma una volta imparato a usarle correttamente, permettono di ripulire una fila di porri o cipolle nella metà del tempo rispetto a una zappatura interamente manuale. L’unico svantaggio di questi utensili elettrici, al di là del prezzo, è la produzione di vibrazioni, che reputo poco salutari per il nostro organismo. Pertanto consiglio di utilizzare la zappatrice elettrica per non più di tre ore al giorno.
Piccole attrezzature per il diserbo manuale
In Francia esistono tantissime aziende di piccole e medie dimensioni che non utilizzano nessun mezzo con motore a scoppio. La ricerca ha portato all’introduzione sul mercato di diverse attrezzature spinte o trainate, come le sarchiatrice illustrate nelle foto a lato, che in determinate condizioni lavorano molto bene. Per ottenere buoni risultati è però necessario passare spesso quando le infestanti hanno raggiunto al massimo i 5 cm di altezza. I sassi e i terreni argillosi rendono molto complicato l’utilizzo di questi macchinari. Ho avuto la fortuna di partecipare a un corso in Spagna in cui venivano illustrati in campo molti di questi macchinari. Uno dei vantaggi indiscutibili è che oltre a non consumare gasolio, queste macchine fanno fare all’operatore anche un’interessante attività fisica. Sono oramai numerose le aziende che stanno iniziando a produrre piccole attrezzature per agevolare il lavoro in agricoltura a prezzi sicuramente molto accessibili e prevedo che nei prossimi anni questi utensili si diffonderanno ulteriormente.
rastrello manuale per eliminare le giovani infestanti
Sarchiatrice semplice a spinta
Sarchiatrice complessa a spinta
Rotazioni
Come già largamente illustrato nel capitolo delle rotazioni, alternare la coltivazione di specie diverse caratterizzate da epoche di maturazione differenti, porta a continue lavorazione del suolo che interrompono i cicli delle infestanti. Una volta presa dimestichezza con il lavoro del contadino e con i cicli delle piante nel nostro ambiente, potremmo iniziare a usare correttamente anche le rotazioni per gestire le infestanti senza fare ricorso ai pesticidi. Ci sono alcune infestanti molto tenaci, come il vilucchio e la portulaca, che sviluppatesi insieme alle piante coltivate (che verranno concimate e irrigate) facilmente ne limitano lo sviluppo. Negli appezzamenti in cui queste specie sono molto presenti fino a costituire un problema, consiglio di effettuare in estate più cicli di insalata ripetuti, come per esempio la Canasta, che completa il ciclo in un mese dal trapianto alla raccolta. Lavorando il terreno fra ciclo e ciclo si evita che la portulaca o il vilucchio vadano a seme e quindi si riduce in maniera significativa, la presenza di queste erbe in quell’area.