Perché un sito internet
Fin dai tempi dell’università ho sempre cercato di leggere e di informarmi su tutto ciò che riguardava l’agricoltura sostenibile e l’orticoltura in particolare. Mi ha sempre colpito il fatto che, leggendo i vari testi di agricoltura “naturale” (sinergica, biodinamica, biologica, permacultura, agricoltura organica rigenerativa), partecipando a molti corsi di formazione, sostenendo esami sull’agricoltura biologica in Italia e in Spagna, ognuno mi sembrava tirasse l’acqua al suo mulino. Ogni corso a cui partecipavo e ogni libro che finivo di leggere cercavano di convincermi che il metodo di volta in volta esposto era il migliore. Ho capito di non essere stato l’unico ad avere queste sensazioni quando, durante i primi corsi che organizzavo all’interno della Facoltà, giovani studenti senza nessuna esperienza pratica mi volevano convincere ad adottare i modelli dell’agricoltura del “non fare” (come professato da Fukuoka nel suo libro “La rivoluzione del filo di paglia”) perché ritenuti più redditizi di altre tipologie di coltivazione. La stessa esperienza mi è capitata varie volte negli anni, accompagnando durante la fase di start-up e nel periodo immediatamente successivo giovani e meno giovani agricoltori che stavano avviando la propria azienda, con alle spalle semplicemente un corso di agricoltura biodinamica o di permacoltura, e che provavano a convincermi delle loro idee sperando nella mia approvazione.
Ho sempre avuto una visione che gli amici definiscono con ironia “produttivismo dell’agricoltura sostenibile”. Sono sempre stato dell’idea che per convincere le masse ad usare metodi di produzione “biologici” dobbiamo riuscire ad incrementare le rese delle proprie aziende agricole. Io parto dal principio che nessuno vuole inquinare di proposito con l’agricoltura; il problema arriva quando le aziende (convenzionali) vengono lasciate sole, diventando preda di tecnici senza scrupoli e conseguentemente schiave dell’agricoltura chimica. È proprio questo modello e chi lo sostiene (le grandi multinazionali), che in nome del profitto continua ad inquinare il pianeta e a compromettere la salute della popolazione e degli agricoltori in primis. Per fermare questo scempio esistono tanti metodi di agricoltura biologica e tanti tecnici qualificati; l’Italia, a differenza di altri paesi, è ricca di esempi virtuosi da conoscere e a cui andrebbe data voce.
La mia idea di orticoltura biologica
Ritengo l’agricoltura biologica certificata e non certificata una grande famiglia, composta da tanti membri, rappresentati dai vari modelli produttivi e da coloro che li hanno elaborati e diffusi. Fanno parte di questo insieme il sinergico (Emilia Hazelip), la permacultura (Bill Mollison e David Holmgren), la biodinamica (Rudolf Steiner), l’agricoltura organica rigenerativa (Jairo Restrepo Rivera), l’agricoltura del non fare (Masanobu Fukuoka) e ultimamente si è diffuso il metodo Manenti e l’orto Bioattivo (Andrea Battiata). Ritengo ognuno di questi metodi interessante e sicuramente degno di studi, attenzioni e sperimentazioni; ma l’errore più comune che rischiamo di fare è proprio quello di scegliere, a priori, un metodo fra questi per avviare le nostre produzioni.
Mi spiego meglio: ognuna di queste tecniche di coltivazione ha alcuni punti di forza nella gestione del suolo, nell’analisi del terreno, nella difesa fitosanitaria, nella creazione della filiera produttiva e ovviamente anche nella qualità organolettica del prodotto finale e nella sostenibilità produttiva. Molte altre cose, però, alcune delle quali considerate fondamentali, sono viceversa estremamente arbitrarie, basate su risultati non dimostrabili e a cui bisogna credere perché le cose stanno così e basta. La mia idea consiste semplicemente nello studiarle tutte, cercando di trarre il meglio da ognuna di esse, dopo averle accuratamente sperimentate in azienda. Analizzare quindi i vari punti di forza di ogni modello produttivo per realizzare un’ agricoltura biologica/naturale (chiamatela come volete, non ho intenzione di fondare alcuna scuola) che non divida ma che unisca, mettendo insieme tutte le conoscenze necessarie ad ottimizzare le nostre produzioni nel rispetto della natura.
In questo sito voglio fare proprio questo. Rendere libero e gratuito il sapere che ho raccolto fino ad oggi (ora lo chiamano know how) in anni di studi, in sperimentazioni in azienda, in infinite discussioni con gli agricoltori e in migliaia di km attraversati per visitare diverse realtà produttive. Fare l’orticoltore biologico è un mestiere difficile e spesso scherzando (ma non troppo) dico agli studenti che ci vogliono quattro lauree per creare aziende capaci di rimanere sul mercato. Questo sito è pensato per tutti quelli che non hanno avuto la possibilità di studiare all’università, di frequentare corsi più o meno costosi o di ereditare una piccola azienda orticola (come nel mio caso), perché l’orticoltura non sia appannaggio di pochi ma sia un’orticoltura biologica per tutti.
A chi si rivolge questo sito
Inizialmente questo sito era stato pensato per gli operatori e i tecnici che lavorano in aziende di medie dimensioni. Questo target rischiava di farmi guadagnare qualcosina attraverso le sponsorizzazioni e nuovi lavori da agronomo, ma avrebbe perso il senso che c’è alla base, ovvero rendere l’orticoltura biologica accessibile a tutti. Dopo varie modifiche il target di riferimento va dai neofiti che vogliono coltivarsi piccole superfici di orto in città o in campagna per auto-prodursi il cibo, passando per i coltivatori diretti, fino ad arrivare agli imprenditori agricoli con operai che vogliono migliorare le rese e la sostenibilità produttiva. Verrà usato un linguaggio semplice e soltanto in pochi casi accademico, perché la trasmissione del sapere è migliore quando gli argomenti sono facili da recepire e da applicare. Chiariamoci subito per non rimanere delusi. Nessun sito internet vi insegna a fare un orto, soprattutto se biologico: quello lo imparerete da soli. Io posso provare a spiegarvi soltanto come fare meno errori possibili.